Le aziende hanno paura di non avere risorse umane con le giuste competenze: ne servono 85 mila

Quali sono le professioni del futuro? E come faranno le aziende a scovare i profili giusti per affrontare le sfide del domani? La risposta a queste domande agita le notti dei professionisti delle risorse umane di tutto il mondo.

Lo hanno confessato imprenditori e manager in un sondaggio di poche settimane fa curato da Grant Thornton International, una delle più importanti società al mondo di revisione ed organizzazione contabile: a fronte di un indice di fiducia globale ai massimi storici per 2.500 società in 36 Paesi, il timore inconfessabile delle imprese è di non riuscire a inserire nei propri organici le professionalità giuste per affrontare le sfide competitive del futuro.

In Italia, per esempio secondo le analisi di Assinform, l’Associazione italiana per l’Information Technology, entro il 2018 serviranno 85mila nuovi professionisti per supportare il mercato digitale (informatica, telecomunicazioni e contenuti), mentre l’Unione europea stima in 900mila le posizioni vacanti in questi ambiti entro il 2020.

Quali sono le professioni del futuro?

Il principale fatto nuovo con il quale aziende e lavoratori devono fare i conti è la crescita dell’importanza dei robot nei processi produttivi. L’ormai famigerato studio McKinsey, che ha aperto il dibattito sul tema sullo strapotere degli automi nel mondo di domani, sostiene che i robot sostituiranno l’uomo nel 49% dei lavori.

L’analisi ha scatenato una paura talmente forte da spingere persino Bill Gates, patron di Microsoft, a proporre una tassa sugli automi per finanziare un reddito di cittadinanza per chi perderà il lavoro a causa loro.

A confermare le paure è arrivato il World Economic Forum secondo il quale 5 milioni di posti di lavoro saranno sostituiti dai robot.

Sebbene vi siano polizze specifiche per contrastare simili difficoltà. è opportuno, comprendere i cambiamenti che ci saranno nel futuro per essere pronti ad affrontare le nuove sfide del mercato del lavoro.

 

Come mostra il grafico sopra, in effetti, l’installazione di robot sui luoghi di lavoro procede a ritmo spedito: sono ormai 1,4 milioni quelli in servizio, mentre solo dieci anni fa non raggiungevano il milione (dati World Robotics).

Quello che però in pochi hanno sottolineato è che il lavoro umano non sparirà, ma cambierà: addio alle mansioni di fatica e ripetitive, spazio a quelle ad alto contenuto di competenze.

Le professioni del futuro saranno completamente diverse da quelle di oggi e le imprese saranno costrette ad andare a cercare le professionalità di cui hanno bisogno addirittura dentro le università.

Serviranno competenze nuove, nel digitale e nella robotica, nell’analisi dei big data e nella previsione delle nuove esigenze delle persone. Se negli ultimi cinque anni sono nati dal nulla tanti nuovi lavori – dagli specialisti cloud ai social media manager – tante altre professioni, di cui oggi, magari, non conosciamo nemmeno il nome, nasceranno nel futuro.

 

Come creare i professionisti del futuro?

Cambieranno, dunque, le professioni già esistenti. Gli ingegneri e i medici lavoreranno da remoto e gli idraulici utilizzeranno tecnologie smart, tanto per fare due esempi.

Le aziende come potranno farsi trovare pronte a questo cambiamento? La risposta è attraverso processo di re-training e re-skilling:

  1. Bisognerà assumere chi sa imparare. Il curriculum sarà carta straccia, la formazione sarà continua. Chi ha studiato tanto, ma non saprà rinnovarsi sarà fuori dal mercato del lavoro.
  2. Si dovranno avviare collaborazioni con gli enti di formazione. O addirittura aprirne direttamente in collaborazione con istituzioni scolastiche. Secondo l’Economist, sono una settantina le compagnie negli Stati Uniti che hanno stretto intese con università d’eccellenza per indirizzare gli studenti migliori verso i percorsi più innovativi.
  3. Creare un ciclo della formazione. Se da sempre sono gli anziani a insegnare ai più giovani, ora potranno essere i profili junior a portare in azienda nuove competenze che i loro responsabili non possiedono. Questo processo, chiamato reverse mentoring, consiste nella formazione delle nuove leve affinché evangelizzino digitalmente i loro colleghi anziani, mentre imparano da loro il know how e la cultura aziendale.

Le professioni del futuro

Se il primo passo per reggere all’impatto dell’innovazione è formare nuovamente la propria forza lavoro, quello successivo sarà scovare esperti in nuove professioni digitali. Sono pochi e sono ricercati, quindi meglio accaparrarseli in fretta e allevarne il talento per evitare che fuggano dopo pochi anni. Ecco quali sono le professionalità che saranno più coccolate dalle imprese.

  1. Data scientist: i dati ormai sono big, sono tanti. Oggi il problema non è più scovare le informazioni, ma saperle interpretare. I data scientist sono coloro che si immergono nell’oceano dei big data per trarne informazioni utili per potenziare il business di una società o migliorarne l’efficienza.
  2. App developer: lo smartphone è ormai un estensione del nostro corpo e sarà sempre più così con l’arrivo dei Millennials (i nati negli anni 80 fino al 1995) e della Generazione Z (i giovani nati dopo il 1995) nel mondo del consumo e del lavoro. E gli smartphone lavorano con le app: per tutto c’è un’app, anche quando si è sul posto di lavoro. Ecco perché l’app developer sarà una figura sempre più indispensabile nelle aziende per realizzare applicazioni compatibili con tutti i sistemi.
  3. Social media analyst: un tempo raccontavano la nostra vita, oggi la guidano o quasi. Sono i social media che, da un punto di vista aziendale, sono da gestire, monitorare e analizzare. È questo il ruolo del social media analyst, un professionista specializzato nell’analisi delle conversazioni sui network (Facebook, Instagram, Snapchat, Twitter) soprattutto professionali (come LinkedIn o le piattaforme settoriali) con lo scopo di identificare le migliori strategie di brand promotion e di marketing.
  4. Web designer: avere un sito web non basta più. Per essere vincenti c’è bisogno di interfacce grafiche accattivanti, usabili e intuitive. Il web designer lavora con (o in concorrenza) con l’Ux designer (user experience designer) e l’Ui designer (user interface designer), altre due professioni in forte crescita.
  5. Professionisti dell’intelligenza artificiale: ricreare il mondo in modalità artificiale è virtuale non può essere compito per un solo uomo. Ecco perché nel mondo dell’A.I., di pari passo con la diffusione di visori e applicazioni, aumenterà la richiesta di ingegneri dell’automazione a specialisti nell’archiviazione dei dati.
  6. Cloud architect: ormai il cloud sembra una rivoluzione matura, già assorbita dal mondo delle aziende. Eppure gli architetti di sistemi cloud serviranno come il pane a fronte dell’aumento degli investimenti in nuovi data center in tutto il mondo (+6% annuo secondo la società di ricerca At Kearney).
  7. Cybersecurity specialist: i dati dell’attacco informatico Wannacry ce lo ha ricordato pesantemente, la sicurezza delle reti deve essere una priorità per aziende ed enti pubblici. La difesa dagli attacchi, il test continuo delle protezioni e l’aggiornamento costante dei sistemi sono l’unica risorsa contro i cyber criminali. E il nuovo regolamento europei sulla tutela dei dati personali, il GDPR (General Data Protection Regulation) che entrerà in vigore da maggio 2018, obbligherà tutte le aziende che gestiscono una grossa mole di dati personali degli utenti a dotarsi di un Data Protection Officer.

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