Quantitative easing o “tapering”? Questo è il dilemma. Ovvero, quale politica monetaria adotterà l’area Euro in futuro, per continuare a sostenere una crescita che, nonostante sia ancora fragile, sembrerebbe avere finalmente recuperato dallo shock della grande crisi del 2008?

Le strade sono due: da un lato l’ipotesi di continuare ad adottare una politica accomodante mantenendo tassi di riferimento negativi e creando moneta attraverso acquisti sul mercato secondario dei Titoli di Stato e corporate; dall’altra l’esatto contrario, ovvero la graduale riduzione dell’acquisto di titoli sui mercati aperti e un possibile graduale rialzo del tasso di riferimento in Europa così come ha deciso la FED a partire da maggio 2014.

Il Presidente Mario Draghi non fa mistero sulle sue preferenze: “il Quantitative Easing, assieme a una politica fiscale di sostegno alla crescita – ha ribadito a un recente Comitato Imfc del Fondo monetario internazionale – permetterebbe all’economia dell’Eurozona di raccogliere tutti i benefici portando a una crescita economica sostenibile più elevata e rendendo la nostra economia più resistente agli shock”.

Il 4 dicembre 2015 la Bce ha approvato la fase 2 del programma di QE, con un prolungamento della monetizzazione di 60 miliardi di euro al mese (aumentata a 80 mld e allargata anche al settore dei bond emessi dalle aziende a marzo di quest’anno) fino a marzo 2017.

Nel corso dell’ultima riunione tenuta a inizio ottobre si è infine ribadito che la BCE non escluderà un ulteriore prolungamento nel caso l’obbiettivo statutario della Banca di raggiungere e mantenere la stabilità dei prezzi ad un target d’inflazione del 2% nel lungo termine non fosse raggiunto.

In estrema sintesi l’alleggerimento/allentamento quantitativo è quella modalità attraverso cui una Banca Centrale aumenta la quantità di moneta nel sistema finanziario attraverso l’acquisto di stock di debito emesso dagli Stati e detenuto presso gli investitori istituzionali (banche) e privati quotati sul mercato secondario. Ciò al fine di fornire indirettamente liquidità disponibile al sistema finanziario nella “speranza” che venga da quest’ultimo impiegato in nuovi investimenti (prestiti alle imprese e/o privati) contribuendo così a stimolare la crescita economia attraverso un circolo virtuoso tra investimenti – nuova occupazione – consumi – aumento dei prezzi e quindi recupero dell’inflazione.

La questione oggi è però che, a distanza di 4 anni da quando la BCE ha dichiarato il “whatever it takes” per la salvaguardia non solo dell’Euro ma dell’intera architettura dell’Unione Europea, la politica monetaria sembrerebbe essere prossima ad avere esaurito le proprie “armi” a disposizione. E’ quindi forse tempo di bilanci: i tassi di riferimento sono giunti a -0,4% e l’effetto preponderante del programma di acquisti dei titoli di stato e corporate sembra essere stato in primis quello di aver creato uno “schiacciamento” anomalo della curva dei rendimenti su tutte le scadenze in Europa piuttosto che riuscire a stabilizzare i prezzi al consumo ad un target d’inflazione atteso del 2% (attualmente allo 0,4% su base annua per il III trimestre 2016).

Inoltre la struttura dei tassi (negativi fino ai dieci anni in alcune aree come la Germania) sta creando non poche difficoltà al modello classico di business del settore finanziario, già in difficoltà per l’ammontare degli incagli presenti nei bilanci e le cui strategie di sviluppo sembrano legate da nuovi vincoli di capitale e regole ridefinite per garantirne la solidità a fronte di eventuali shock dal lato della domanda. E non solo: anche sul lato della gestione del risparmio il contesto di riferimento sta diventando sempre più complicato: È accettabile il rapporto rischio/rendimento delle differenti curve dei tassi oggi presenti in Europa?

Infine il perdurare di una politica estremamente accomodante come l’attuale “scopre il fianco” a potenziali manovre anticicliche future. Nel periodo della bolla tecnologica del 1998-2000 si diffuse l’opinione che le economie sviluppate fossero prossime a vivere in un nuovo mondo dove i cicli economici classici di espansione – restrizione sarebbero spariti lasciando il posto ad un nuovo modo di produrre a ciclo programmato continuo. Ben presto ci si accorse che ciò non sarebbe stato possibile e la new economy fece le sue vittime riportando ben presto l’economia in recessione e costringendo le Banche Centrali a tagliare ripetutamente i tassi d’interesse per cercare di attutire gli effetti della bolla internet. Oggi dopo circa 8 anni di espansione del ciclo economico che sembrerebbe avere riportato, almeno in parte, ai livelli di produttività precedenti al fallimento di Lehman Brothers, quali mosse potrebbe mettere in campo una Banca Centrale Europea che ha già un tasso di riferimento fissato a -0,4% a fronte di un’inversione del ciclo?

Queste sono alcune delle questioni che caratterizzeranno il 2017 e, forse, anche gli anni successivi in quanto siamo dell’opinione che il processo di normalizzazione sarà molto più lungo di quanto sia oggi possibile immaginare.

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