Da quando esistono i Bitcoin è possibile stampare in autonomia il denaro. A casa, con il computer. Anzi, non c’è nemmeno bisogno di stamparlo: si archivia sul proprio hard disk e lo si usa per comprare oggetti nel mondo sia virtuale che reale. Potrebbe sembrare la versione moderna di una scena tratta dal film di Totò ne “La banda degli onesti”, ma non è così in quanto tutto è più che legale. Dopo i siti di e-commerce, dopo i negozi di informatica e i supermercati, adesso anche le banche “normali” iniziano ad accettarli come metodo di pagamento.

I Bitcoin sono un business

Sono ancora una curiosità da aficionados smanettoni, ma il business esiste eccome: il valore della moneta virtuale più famosa del mondo (non è l’unica, ne esistono decine) si è impennato raggiungendo un valore di diverse migliaia di dollari. Come mai, visto che ognuno li può creare sul proprio computer (o, meglio, li può “cercare” grazie alla potenza di calcolo del proprio computer), il valore aumenta? Perché l’inventore dei Bitcoin, Satoshi Nakamoto, che è uno pseudonimo, ha inserito nell’algoritmo della moneta un limite alla loro diffusione pari a 21 milioni di pezzi. Dal 2009 ad oggi il numero assoluto di Bitcoin è sempre aumentato proprio perché si sapeva che oltre un certo limite non si potrà andare e, quando questo limite verrà raggiunto, il loro valore dovrebbe essere (il condizionale è opportuno) destinato a crescere ancora di più. Nel meraviglioso mondo dei Bitcoin, quindi, l’inflazione non esiste. Non può esistere.

A differenza di una normale moneta, il Bitcoin è nominale: cioè tutti sanno che “quel” Bitcoin appartiene a “quella” persona la quale, quando decide di spenderla, firma una sorta di contratto virtuale criptato nel quale si certifica che il proprietario è cambiato.

La crescita vertiginosa dei Bitcoin

Il grafico mostra la crescita vertiginosa del valore dei Bitcoin (fonte blockchain.info). Se a maggio del 2012 valeva appena due dollari, a settembre del 2015 aveva già raggiunto i 236 dollari. Nemmeno due anni dopo, ad agosto 2017, ha sfondato il muro dei 4 mila dollari (+300%). A settembre sfiora i 5 mila dollari e poi ha iniziato a “ballare”. Abbastanza ovvio, data l’esiguità della valuta in circolazione: basta un acquisto o una vendita a prezzi anche di poco superiori a quelli medi per provocare un’oscillazione da cardiopalmo.

Il concetto di Bitcoin ha, comunque, creato un comparto dell’industria informatica che prima non esisteva. Si chiama blockchain: un complesso sistema di algoritmi e registri condivisi sulla Rete che consente non solo alle monete virtuali di essere scambiate e verificate elettronicamente attraverso un network di computer, ma anche di creare sistemi di certificazione di proprietà o di passaggi di proprietà, virtuali. Se tutti sanno che “quel” Bitcoin è mio, perché non registrare in un archivio criptato che anche “quella” casa è mia, “quella” automobile o “quel” cane? Lo sviluppo che potrebbe avere il blockchain è praticamente inimmaginabile, al punto che a giugno il Fondo monetario internazionale ha invitato le banche a investire sempre di più nella tecnologia digitale. E poche settimane dopo 22 banche di tutto il mondo – tra cui Intesa Sanpaolo e Unicredit  – hanno annunciato la volontà di sperimentarne le potenzialità. Le maggiori banche del mondo avranno il ruolo di gruppo di convalida dell’applicazione della blockchain, ovvero, appunto, certificare la proprietà di un bene tra i quali anche delle monete. Obiettivo non dichiarato è quello di creare una moneta virtuale concorrente del Bitcoin.

Come funziona la blockchain?

La blockchain è una sorta di libro mastro che registra tutte le transazioni che si svolgono nel mondo virtuale. Per ora ad essere registrati sono i passaggi di proprietà dei Bitcoin. È condiviso e permette a ogni computer di verificare la validità di una transazione. A garantire i passaggi di moneta sono le firme digitali che permettono a tutti gli utenti di avere pieno controllo sul proprio “borsellino elettronico”, che poi non è altro che una comunissima cartella di documenti all’interno della quale, invece di file di word, ci sono le monete virtuali.

Secondo un sondaggio del World Economic Forum entro il 2025 oltre il 10% del Pil mondiale riguarderà attività registrate attraverso una tecnologia che si basa sulla blockchain. Ecco perché sei delle più grosse banche mondiali – Barclays, Credit Suisse, Canadian Imperial Bank of Commerce, Hsbc, Mitsubishi Financial Group e State Street Bank Corporation – si sono unite per lavorare al progetto “Utility Settlement Coin” creato inizialmente da Ubs proprio per creare una nuova moneta virtuale in grado di rendere più efficienti i mercati finanziari.

Come ottenere i Bitcoin

A questo punto una domanda: i Bitcoin vi incuriosiscono e volete procurarvene un po’? Ecco cosa dovete fare. Per prima cosa bisogna procurarsi un portafoglio virtuale (chiamato “wallet”) per custodire e spendere il denaro anche in alcuni negozi tradizionali che li accettano. Aprendo il wallet, si riceve un Bitcoin address di 34 caratteri alfanumerici da rinnovare a ogni transazione per garantire la massima sicurezza.

Una volta preparato il “portafogli”, bisogna riempirlo. Come? Bisogna unirsi a un Pool, una sorta di consorzio all’interno del quale ogni partecipante cede una parte della potenza di calcolo del proprio computer per la risoluzione di un calcolo complesso (crittografia). Per farlo basta scaricare un software Java capace di far lavorare in parallelo migliaia di computer contemporaneamente, anche sparsi ai quattro angoli del pianeta allo scopo di risolvere il problema. Per ogni crittografia risolta, si ottiene un pacchetto di 50 Bitcoin che viene diviso trai membri del Pool. Volete cominciare? Bene, ma sbrigatevi: il limite dei 21 milioni sarà raggiunto, secondo le stime, nel 2030.

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